Alberi e stress idrico
12set2012
Riproponiamo un interessante articolo del 2003, quando durante i primi quindici giorni del mese di agosto 2003, l’Europa fu colpita da una massiccia ondata di caldo. Questo fenomeno fu eccezionale sia per la durata che per l’intensità; il 2003 fù caratterizzato da precipitazioni ridotte e mal distribuite e vennero battuti numerosi record di temperatura in diverse città europee. Questa canicola seguì ad una primavera ed un inizio dell’estate particolarmente siccitosi, che ricordavano l’anno 1976, pur essendo ben più gravi in termini di carenze idriche che in termini di durata.
Stress da caldo? Non ne soffrono solo uomini e animali. In questa torrida estate anche piante e alberi hanno avuto il loro bel daffare per cercare di evitare lo stress idrico, mettendo a punto difese e stratagemmi particolari per sopravvivere alla canicola e alla siccità. Come si sa, l’acqua è indispensabile per le piante, in quanto nutre la linfa vitale che dalle radici porta alle foglie i sali minerali, per poi ritornare alle radici con i prodotti della fotosintesi necessari alla crescita di gemme, fiori e foglie.
Ma le piante non conservano che una piccola parte dell’acqua assorbita, visto che ben il 98% evapora dagli stomi, i pori microscopici di 5-30 micron che si trovano sulle foglie, durante la risalita della linfa. Si stima che una foresta di un ettaro butti fuori dalle 3.000 alle 4.000 tonnellate d’acqua nell’atmosfera.
Questo processo però può diventare dannoso in certe condizioni. “Lo stress idrico – spiega Dorothea Bartels, professore di Botanica all’univerità Friederich-Wihelm di Bonn – sopravviene quando la quantità di acqua traspirata è superiore alla quantità di acqua assorbita dalla pianta”. Per evitare queste situazioni critiche, le piante hanno messo a punto nel corso dell’evoluzione diverse strategie per economizzare la loro riserva d’acqua.
“Le radici – aggiunge Thierry Simonneau, ricercatore di ecofisiologia all’Istituto nazionale di ricerca agronomica di Montpellier -, capaci di percepire i periodi di siccità dal suolo, in condizioni di stress sintetizzano un ormone, l’acido abscissico, che, trasportato alla foglie dalla linfa, si ferma negli stomi, limitando così le perdite di acqua”.
Un altro modo elaborato dal regno vegetale per sopravvivere alla siccità è quello di ridurre la superficie di traspirazione delle foglie. I girasoli per esempio lasciano appassire le loro foglie, mentre le querce le ricoprono con una specie di cera che riflette i raggi solari, preservandone l’umidità. Il risultato di questi sforzi è che però l’anidride carbonica non entra più nella pianta, che di conseguenza rallenta la sua crescita.
Nelle regioni calde le specie vegetali hanno adottato la strategia della vita notturna, aprendo i loro stomi dopo il tramonto per catturare anidride carbonica e rilasciare vapore acqueo. Emblematiche a tal proposito le piante della resurrezione, come il Craterostigma plantagineum dell’Africa del Sud, in grado di tornare alla vita dopo un disseccamento totale.
Ma le piante sensibili alla mancanza d’acqua non sono in grado di sopportare aumenti di temperatura troppo elevati. “In base alla quantità d’acqua assorbita – spiega Simonneau – la pianta riesce a regolare la temperatura per l’evapotraspirazione, evitando che si alzi troppo. Ma se si accumulano mancanza d’acqua e temperature troppo elevate, è la fine. Le foglie esposte alla calura possono raggiungere temperature superiori di 5-7 gradi a quella ambientale, che può essere di 45-47 gradi, con un conseguente accumulo di tossine, che mette in forse la stessa sopravvivenza della pianta”.
Anche gli alberi hanno messo a punto dei meccanismi di resistenza al calore. “Attraverso un segnale chimico sintetizzato al livello delle radici e inviato nel tronco – spiega Sylvain Delzon, studioso di ecofisiologia alla stazione forestale di Pierroton – le foglie riconoscono il contenuto idrico del terreno, reagendo di conseguenza. L’albero, dopo aver formato un legno che contiene la linfa e le fibre per il suo sostentamento, blocca traspirazione, assorbimento dell’anidride carbonica e fotosintesi, finché non ricomincia a piovere”. (ANSA)